INDIPENDENZA DA COSA?

Chiunque abbia a cuore la sovranità dei popoli non può che provare empatia per qualsiasi causa di autodeterminazione, soprattutto se conclamata dalle immagini di una popolazione che lotta per le strade per respingere la polizia inviata ad impedire la celebrazione di una consultazione popolare.

Tuttavia, la partita in atto contro le élite finanziarie è complessa e richiede pragmatismo e strategia. Proviamo a porci questa domanda: supponiamo che oggi la Catalogna si stacchi dalla Spagna, e che questo inneschi altre spinte centrifughe riguardanti i baschi, i corsi, i bretoni, i fiamminghi, l’Alto Adige etc… staremmo per questo realizzando l’Europa dei popoli liberi? L’Europa della piccole patrie? L’Europa delle identità? Oggi, nel contesto nel quale siamo, non ne sono affatto sicuro.

Non ho un’opinione compiuta sui fatti catalani, e plaudirei senza esitazione alla volontà indipendentista catalana se fossi sicuro che il neo-Stato avesse un piano di emancipazione dalle élite finanziarie alle quali, oggi, è soggetto come parte del perimetro spagnolo. Infatti, è l’indipendenza dall’occupazione finanziaria la prima che va cercata, che è di gran lunga superiore a qualsiasi altra forma di occupazione, inclusa quella militare.

Ecco, io questa sicurezza non ce l’ho. Anzi, stando ai dati in mio possesso, nel contesto attuale ritengo che l’eventuale nuovo Stato catalano verrebbe facilmente assorbito nei meccanismi burocratico-finanziari di Bruxelles e della City di Londra, ed avrebbe ancora meno potere contrattuale di quanto non ne abbia già oggi all’interno del perimetro giuridico spagnolo.

Qualsiasi decisione strategica deve essere accompagnata da un piano. Ad esempio, da anni ripeto a chi si affretta a sostenere l’uscita tout-court dall’Euro di spiegare dove intende andare, con quali mezzi e con quale strategia. Stesso dicasi per i trattati militari (NATO), commerciali etc. Non basta “uscire”, bisogna avere un piano ed avere almeno una chance di trovarsi, dopo l’uscita, in una posizione migliore, di maggiore sovranità rispetto a prima, altrimenti è meglio star fermi e costruire le condizioni necesssarie. Questo stesso principio, oggi, lo applico alle rivendicazioni indipendentiste.

A me sembra che la causa catalana, infatti, non diversa da quella di altre regioni ricche europee, nasca dalla rivendicazione di autonomia amministrativa, non finanziaria. E’ rivolta, cioè, contro l’”occupazione” politica dello Stato centralista, non contro quella finanziaria esercitata dalla Troika e dalle sue propaggini bancarie attraverso l’inganno del debito. Difatti, viene rivendicata la gestione autonoma del budget fiscale, dei vincoli di bilancio, ma non si denunciano i meccanismi di asservimento finanziario, quei meccanismi automatici che sono figli di trattati europei perversi e ingannevoli.

Non ho notizie di alcuna critica radicale dei catalani rispetto al debito fittizio verso la BCE, rispetto alla minaccia del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), rispetto al meccanismo perverso del fiscal compact che sta attuando un piano di deflazione e svalutazione programmata dell’intera Eurozona. Se leggessi qualcosa del genere, potrei accettare la scelta indipendentista come strumentale ad un disegno più ampio di emancipazione finanziaria e quindi autenticamente politica del popolo catalano, finalizzata a ricostituire quella triade popolo-territorio-sovranità che caratterizza un’autentica comunità politica.

Mi sembra, insomma, che Barcellona non disponga di alcun modello economico-sociale alternativo a quello neo-liberista, e che non guardi a Madrid come ad un nemico, quanto piuttosto come ad un antagonista, un concorrente nella corsa autolesionista a sottoporsi alla dittatura delle élite burocratico-finanziarie. Posta così la questione, potremmo addirittura trovarci alla soglia di una ricomposizione degli Stati nazionali europei in unità frazionate, più deboli e assoggettabili a piani di indebitamento più efficaci perchè adattati alle caratteristiche socio-economiche di entità maggiormente omogenee, il tutto  all’interno di una cornice compiutamente neo-liberista.

In più, di certo, possiamo aggiungere già da ora che nella situazione di oggi (lo sottolineo) la Catalogna indipendente implicherebbe anche la rinuncia dei catalani ad avere un peso nelle decisioni internazionali, un ruolo nelle scelte militari, geopolitiche, nelle assisi internazionali dove si fanno gli accordi sul commercio, sull’energia, sui flussi migratori, indebolendo peraltro anche il peso specifico della Spagna post-scissione.

Resisterei, quindi, alla tentazione di plaudire alla Catalogna “libera”… e mi domanderei piuttosto se nel contesto attuale questa mossa non crei piuttosto le premesse per una ulteriore sottrazione di sovranità popolare, prestando alla Troika un nuovo lembo di terra sul quale esercitare il proprio dominio, con minore resistenze rispetto al passato.

Alberto Micalizzi

 

 

 

17 pensieri su “INDIPENDENZA DA COSA?

  1. Pingback: Catalogna: indipendenza da cosa? | unireipunti.info

  2. Analisi importante. Ritengo però che l’autodeterminazione dei popoli sia un insieme di processi di vario tipo e che comunque non si può fermare e lo si può certo rallentare. Io penso che per il caso della Catalogna l’indipendenza richiesta con un referendum che è riuscito ad imporre o quanto meno ne ha segnato una svolta nel cammino iniziato mesi fa sia anche di ordine culturale. Il catalano ha una sua lingua con tratti culturali obiettivamente diversi da Madrid. Certo i temi che quest’articolo ha presentato sono importanti e meritano attenzione perché sono secondo me cruciali. Vedremo il sistema finanziario come risponderà e quali mosse farà.

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  3. Buonasera Dottor Micalizzi, mi chiamo Giancarlo.
    E’ la prima volta che leggo il suo Blog e ne sono allo stesso tempo contento e triste.
    Contento perchè finalmente quello che avevo in modo confuso in testa trova una chiave di lettura più ordinata confermando le mie paure, Triste perchè nello stesso istante in cui capisco ed entro maggiormente nel merito delle questioni, mi rendo conto che non so cosa fare. Non so cosa fare per difendere la mia famiglia, il mio territorio, la mia vita. Mi sembra una lotta impari.
    A volte penso di dover imparare a coltivare e rendermi meno dipendente dal bisogno di moneta tornando al baratto (almeno in parte). Invece mi sto occupando di una piccola azienda che a stento sopravvive.
    Senza rubarle altro tempo le chiedo solo una cosa … ma che cosa può fare una persona , che cosa può fare una famiglia nel quotidiano per avere la meno peggio?
    Scusi il disturbo e Grazie per la sua intelligenza.

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  4. Tra le due corna del dilemma……..in Siria, in Libia, in Iraq il potere mondialista vuole spezzare stati che, integri, avrebbero un certo potere contrattuale, invece divisi sarebbero facilmente assoggettabili! E’ quella strategia iniziata subito dopo la prima guerra mondiale con il piano del presidente americano sulla autodeterminazione dei popoli che mirava a dividere ulteriormente l’Europa per indebolirla ancora di più! Quindi con il cuore posso provare una grande simpatia per un popolo che lotta ( o crede di lottare!) per la propria identità e sovranità nazionale, per la propria cultura e tradizione……… ma con la testa condivido l’analisi di Micalizzi!!!!

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  5. Non conosco la Catalogna ma vivo in Sardegna, terra di movimenti indipendentisti sin dagli anni ’30 del secolo scorso. Non mostrano di avere idee chiare sul cosa fare per l’economia e il lavoro se mai la ottenessero l’indipendenza, loro arrivano sino a Roma, le potenze finanziarie mondialiste nei loro discorsi non entrano proprio.
    Nell’epoca in cui gli Stati nazionali vengono schiavizzati non credo proprio ci sia posto per le piccole patrie, se non si hanno manie suicide socioeconomiche e politiche.

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  6. Le considerazioni svolte in questo articolo dovrebbero far riflettere riguardo all’entusiasmo a buon mercato per l’idea astratta di “autodeterminazione dei popoli” .Le informazioni sulla Catalogna e la sua lotta idipendentista che ci giungono dai media sono estremamente superficiali e banalizzanti, pertanto -senza una conoscenza diretta e approfondita della complessità- è impossibile esprimersi sulle vere motivazioni di quanto è accaduto. C’è da aggiungere che la Costituzione spagnola non prevede l’istituto del referendum . Risulta che i catalani,che già detengono uno statuto di regione autonoma, si siano attivati nel parlamento spagnolo per chiedere modifiche della Costituzione ? Avere la possibilità di indire un referendum non è come operare una secessione .

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  7. Le considerazioni svolte in questo articolo dovrebbero far riflettere riguardo all’entusiasmo a buon mercato per l’idea astratta di “autodeterminazione dei popoli” .Le informazioni sulla Catalogna e la sua lotta indipendentista che ci giungono dai media sono estremamente superficiali e banalizzanti, pertanto -senza una conoscenza diretta e approfondita della complessità- è impossibile esprimersi sulle vere motivazioni di quanto è accaduto. C’è da aggiungere che la Costituzione spagnola non prevede l’istituto del referendum . Risulta che i catalani,che già detengono uno statuto di regione autonoma, si siano attivati nel parlamento spagnolo per chiedere modifiche della Costituzione ? Avere la possibilità di indire un referendum non è come operare una secessione .

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  8. Cosa farebbe un nuovo Stato Catalano autonomo non lo sa nessuno, ma certo è che non potrebbe da solo affrontare e tantomeno risolvere i mali del mondo. Questo non significa però che è meglio per i catalani continuare a subire tutto lasciando le cose così come sono. Se non si comincia dal basso, in questo caso da un livello regionale, non si potrà mai cambiare nulla.
    Quanto a “l’eventuale nuovo Stato catalano verrebbe facilmente assorbito nei meccanismi burocratico-finanziari di Bruxelles e della City di Londra” è tutto da vedere e dimostrare, ma almeno sarebbe il caso di spiegare ed esemplificare nella pratica in cosa consisterebbero queste minacce incombenti, quanto misteriose, che però demoliscono ogni speranza di cambiamento. Perché non si prendono invece ad esempio casi d’indipendenza riuscita, come l’Ungheria di Orban, tanto per fare nomi?

    Dal basso l’orizzonte è necessariamente corto, e per allungarlo l’autonomia di pensiero e d’azione costituiscono condizione necessaria.

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  9. Come mai Germania e Francia non hanno nessun problema di secessioni regionali nonostante notevoli differenze interne fra le regioni mentre Spagna, Italia ed ex Jugoslavia e Cecoslovacchia hanno avuto divisioni o li avranno a breve ? E chiaro che chi tira le fila delle divisioni ha sede a Parigi e Berlino e i vari Bossi e leader catalani sono soltanto marionette infiltrate.

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  10. Analisi molto utile.
    Caro Alberto ti ringrazio di cuore ( il tu è volontariamente usato) per dare l’opportunità di capire la finanza e l’economia in una visione completa e correlata.
    Ma ministro dell’economia non te l’ha ancora chiesto nessuno?
    Cordialmente
    Paolo

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    • 🙂 Caro Paolo ti ringrazio per le tue parole lusinghiere. Il mio compito è quello di monitorare la situazione e fungere da “sentinella”. Altri, spero, raccoglieranno i segnali di minacce e se saranno onesti verso la nostra comunità agiranno di conseguenza.

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  11. Buongiorno,

    mi chiamo Giordano Arman, scrivo dal Trentino per sottoporle un quesito. Condivido le sue perplessità riguardo la Catalogna, ma penso che un movimento indipendentista, se orientato in un certo modo, possa risultare utile alla causa contro le varie chimere della globalizzazione. Per usare una metafora militare: all’interno del fronte anti-imperialista gli stati nazionali potrebbero essere la linea di difesa, le autonomie e i movimenti indipendentisti la linea di resistenza, meno ampia ma fondamentale per la sopravvivenza del fronte in caso di caduta degli stati nazionali.

    Per questo mi chiedevo se le proposte che è andato a formulare su questo blog non possano trovare la loro ragione di esistere anche in luoghi diversi dagli stati nazionali, ad esempio l’autonomia Trentina.

    Mi chiedo se la proposta dei CCF potrebbe trovare un terreno maggiormente fertile da noi, piuttosto che sul campo nazionale. Parte delle tasse che i Trentini pagano vengono amministrate direttamente qui, il che mi fa presumere che si possano prendere decisioni sul fisco relativamente autonome fino al punto di poter introdurre i CCF. Presumo che a livello provinciale le pressioni oppositive possano essere più deboli che a livello nazionale, la partita politica principale è tra gli stati nazionali e l’UE, un provvedimento a livello provinciale potrebbe passare con più facilità.

    Non conosco le norme fiscali locali nel dettaglio, se necessario provvederò a fornire ulteriori informazioni.

    Grazie,

    Giordano Arman

    (riscrivo il commento perchè non è comparso sotto al post)

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    • Caro Giordano, la tua considerazione ha due componenti molto diverse, una politica l’altra economico-finanziaria (uso questa dicotomia per motivi soprattutto di chiarezza). L’uso di una moneta fiscale è senz’altro avvantaggiata da una situazione di (maggiore) autonomia di bilancio, dunque certamente si, il TAA potrebbe essere un ottimo laboratorio di sperimentazione. Riguarda il fatto che piccole entità territoriali possano meglio -da sole voglio dire – affrontare la dinamiche globalista, su questo sono molto scettico. Vedi, le cause di asservimento della politica e dei popoli ai mercati sono trasversali e comuni a tutti, e riguardano sostanzialmente l’uso ingannevole del debito (principalmente pubblico ma anche privato). Del resto, entità politiche più piccole avrebbero difficoltà a contenere lo strapotere transazionale di conglomerati come Blackrock (5 miliardi di assets, tre volte il PIL italiano…) e altri consimili.

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      • Ti ringrazio per la risposta. Io pensavo ad una iniziativa che magari partendo dal Trentino si potesse poi espandere anche ad altre autonomie fiscali, facilitando quella frammentazione amministrativa che è molto invisa ai globalisti. Mi dicono che tale iniziativa facilmente non andrà in porto anche a livello locale (anche perchè non abbiamo porti in Trentino), però secondo me per includere questa idea in un programma politico è sufficiente anche la sola finalità di far muovere il nemico e costringerlo ad esporsi, per studiarlo e creare un precedente. Più che un attacco lo definirei una azione di ricognizione, di sperimentazione. Ammetto comunque che tutto ciò che scrivo non è supportato da una esperienza diretta di amministrazione nè da studio individuale, solamente da considerazioni a grandi linee.

        A te potrebbe interessare portare questa idea a Trento?

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      • Riflessioni di un ex CEO

        Can CEOs save the planet?
        Esiste una classe dirigente che potrà salvare il pianeta?

        In un sistema economico-finanziario molto complesso è proprio impossibile trovare il bandolo della matassa neo-liberista che ci avvolge da anni?

        Ma è proprio vero che tutto sia così indecifrabile?

        In queste situazioni, apparentemente inestricabili, penso sempre al Manzoni che all’avvocato Azzeccagarbugli assegna il ruolo del mistificatore della realtà il ruolo di colui che deve confondere le acque per rendere incomprensibile ciò che invece sarebbe chiarissimo, con il fine ultimo di “fregare” i poveracci indifesi.
        Il Renzo malandrino che diventa Renzo vittima non suscita alcuna pietà nell’untuoso avvocato anzi il sentimento diventa di disprezzo ed ira per un villano che pensa di potersi sdebitare con dei capponi. Ben altro serviva per ottenere i servigi di un mediocre “tutore/garante” dell’ordine precostituito.

        In effetti la storia è molto semplice ed è drammaticamente uguale a se stessa.
        L’umanità può essere divisa in tanti modi. A seconda del secolo, in aristocrazia, clero e gleba, oppure in uomini, uominicchi e quaqaraqua, oppure ancora elite, executive managers e workers. O in tantissimi altri modi con sfumature infinite… ma la realtà è sempre la stessa:
        Un gruppo che domina in nome di qualcosa, molto spesso, intangibile, un gruppo che aiuta il gruppo precedente a dominare e un gruppo di dominati sottomessi.
        Il gruppo che domina è poco fluido si entra e si esce con difficoltà (quasi impossibile!). Si entra quasi esclusivamente per diritto di nascita!
        Il secondo gruppo è molto più fluido: tutti (i non dominanti) aspirano a farne parte! Lo status di “raccoglitore di briciole dorate” è un sogno per moltissimi dei dominati. Soprattutto per quelli che, dotati di intelligenza superiore alla media, sperano di utilizzarla per “emergere”.
        E si può emergere in tanti modi diversi… studiando, usando la propria eloquenza per raccogliere consensi, con la violenza da capo banda più o meno organizzata… etc. .
        Ma tutti rimangono puri e semplici esecutori di un modello preconfezionato, dove bisogna solo trovare la propria collocazione. I più bravi a far arricchire i pochi andranno più in alto, dirigenti, vice presidenti, presidenti, CEO, etc.
        I più intraprendenti poi creeranno con la loro iniziativa aziende o “bande” di successo creandosi delle isolette apparentemente indipendenti… ma che in realtà saranno prima o poi inglobate, acquisite o fatte fallire o magari lasciate sopravvivere se non danno fastidio… il tutto dipende da quanto bravo sarà l’imprenditore a non dare troppo fastidio.

        Ma allora tutto è destinato a restare immobile e immutabile? Oppure si deve cambiare solo perché tutto resti come prima ?

        Probabilmente si!

        Ma c’è una piccola speranza, una piccola fiammella che, forse, potrebbe diventare la fiamma del cambiamento.

        È possibile che il gruppo dei “raccoglitori di briciole dorate” si rendano conto del loro ruolo e diventino motivo e motore di un cambiamento globale?

        In effetti la gran parte dell’economia mondiale passa per le mani e le menti di pochi CEO (super pagati) che gestiscono “comandano” mega strutture che producono profitti da capogiro.

        Ad esempio, il CEO di un grande fondo di investimento assieme al suo gruppo dirigente può determinare il destino di intere popolazioni. Investire, comprare, disinvestire, de-localizzare non sono solo dei semplici termini tecnici ma sono attività che cambiano, ogni giorno, la vita di milioni di persone…

        Si può quindi pensare di creare un movimento di CEO / Manager etici che si rendono conto di vivere in una caverna e che il loro ruolo è ormai diventato chiave nel cambiare e mitigare gli effetti diabolici e devastanti del neo-liberismo super-competitivo sulla vita di milioni di persone ?

        Incredibilmente in tutto quello che è accaduto ed accade oggi non esistono probabilmente i cattivi ed i buoni ma solo interpreti di ruoli che qualcuno si è dato da solo e qualcun altro ha accettato passivamente.

        La coscienza che c’è una via di uscita non traumatica, da sola, potrebbe coagulare le menti dei tanti/pochi illuminati?

        E questi tanti/pochi potranno essere l’elemento che traghetterà l’umanità verso una nuova era ? L’era del neo UMANESIMO? L’era in cui l’uomo ritorna al centro del mondo, l’era in cui la collaborazione sostituisce la competizione selvaggia l’era in cui il progresso è un treno in cui non ci sono più classi e categorie dove tutti possono salire e partecipare con le proprie capacità al progresso del treno intero?
        Esisterà mai un mondo dove tutti nascono veramente uguali?

        Il nostro pianeta ha risorse sufficienti per permettere a tutti di vivere soddisfacendo tutti i bisogni primari… C’è anche spazio per i più capaci ed intraprendenti che erano valore vero per la comunità grazie al loro lavoro ed intelligenza per avere di più, ma non troppo di più.
        Forse non ci sarebbe più spazio per chi nasce privilegiato, senza motivo, solo per pura coincidenza/fortuna!

        C’è tanto spazio per creare una economia circolare non inquinante che usa le risorse del pianeta in funzione dei veri bisogni dei suoi abitanti.
        Non c’è alcun bisogno di produrre prodotti sempre più profittevoli resi sempre più desiderati da un marketing super aggressivo e manipolativo solo per far accumulare profitti nelle tasche di pochissimi mentre ai molti non rimane altro che inquinamento e malattia.

        C’è spazio per poter realizzare un progetto dove le tre componenti della società: Elite, Gestori e Gleba potranno in maniera pacifica accordarsi per un vero NUOVO ORDINE MONDIALE?

        Una soluzione dove la forza dell’intelletto prevalga sulla forza della sopraffazione egoistica.
        Una soluzione dove gli Stati diventano super-individui che cercano di collaborare e non di sopraffare il vicino.

        Una soluzione dove lo Stato più forte diventerà garante dei interessi dei popoli e non dei pochi, dove gli eserciti saranno schierati per proteggere e non per aggredire.

        La forza degli Stati potrebbe essere usata solo per evitare le furbizie e le violenze contro i deboli per equilibrare e non per squilibrare!

        Sarà possibile tutto ciò?

        Cosa serve, cosa manca perché tutto ciò accada?

        Allora…chi inizia?

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